Elisabetta per sempre regina, di Antonio Caprarica (Sperling & Kupfer)

Elisabetta per sempre regina, di Antonio Caprarica (Sperling & Kupfer)

La lettura del libro di Antonio Caprarica è scorrevole, appassionante, instancabile perchè tutto ciò che apprezziamo in un romanzo, qualsiasi genere sia quello delle nostre corde, in questo libro lo troveremo: sfondo storico, introspezione, sentimento, spy-story, sociale, suspense, politica, realismo, attualità, giallo. Tutte le varianti della narrativa sono contemplate e intrecciate in una trama vera. Il confine tra realtà e finzione sfuma perchè nella lettura si comprende come non sia mai, in fondo, davvero netto: “Il romanzo è la storia che avrebbe potuto essere, e la storia un romanzo che si è realizzato” ha detto André Gide ed è forse la più affascinante descrizione della storia come insieme di vite singole.

Antonio Caprarica, noto giornalista corrispondente estero, grazie ai suoi quindici anni di servizio da Londra, vanta una impareggiabile conoscenza della storia del paese e condensa in questo straordinario libro la grande avventura che è stata il regno dei Windsor e soprattutto quello di Elisabetta. Il titolo è emblematico, come ha detto lo stesso autore in un’intervista: “Il per sempre gode dell’ambiguità di riflettersi tanto su Elisabetta quanto sulla sua funzione. Se noi avessimo intitolato regina per sempre sarebbe stata una connotazione temporale legata alla sua definizione professionale. Elisabetta per sempre regina vuol dire due cose. Intanto vuol dire che Elisabetta è per sempre regina: noi abbiamo un’immagine di donna che in qualche modo è riuscita a fondersi con la perennità, è diventata un elemento statico e permanente dell’immaginario planetario, fuori dal tempo. Elisabetta ha fornito un’immagine e una presenza che stabilisce un dato di continuità senza soluzione nella storia inglese ma non solo, nel modo in cui noi guardiamo il mondo (…). Ma per sempre regina vuole dire anche che è l’ultima vera regina perché il per sempre dà una connotazione definita, conchiusa, non c’è un prima e un dopo del sempre; il sempre è l’essenza, è la presenza immanente; ecco, Elisabetta ha un po’ questa sostanza metafisica”.

La storia di Elisabetta non parte dalla sua incoronazione, perchè non sarebbe sufficiente per spiegare e capire profondamente una figura così complessa, nella quale “i riti dell’età edoardiana – equivalente inglese della Belle Epoque -, i cerimoniali immacolati e l’ordine naturale delle classi rimasero per sempre scolpiti”. Ecco perché Caprarica risale a monte, alla sua infanzia e, ancora prima, alla storia di genitori, nonni e zii della dinastia Windsor le cui vicende, i cui caratteri personali, per la natura del loro ruolo, erano inevitabilmente destinate ad imprimere un marchio indelebile sui discendenti. Ed Elisabetta va conosciuta ancor prima che come regina ed erede al trono, come nipote di Giorgio V e Marina di Teck: due sovrani noti per la loro austerità che solo per la nipotina si addolciva in atteggiamenti di tenerezza. Se lui si macchiò del pavido rifiuto di ospitare i Romanov abbandonandoli al loro destino, episodio che Caprarica sviscera in tutti i suoi diritti e rovesci, fu la moglie Mary, per contro, durante la Prima Guerra, ad “inventare per la monarchia le attività che avrebbero rappresentato il suo aspetto più rilevante, probabilmente anche più delle sue funzioni cerimoniali al vertice dello stato: l’organizzazione ed il sostegno delle opere di beneficenza e le visite pubbliche”.

Ma sopratutto Elisabetta va conosciuta come figlia di Giorgio VI ed Elisabetta I, due figure straordinarie di semplicità e umanità sul trono, che dal racconto di Caprarica emergono ancora oggi dopo un secolo come persone attuali e semplicissime, per le loro doti di modestia, semplicità e profondo senso di famiglia. Modestia e semplicità che, in due reali, si trasformano in potere e fidelizzazione. Dopo i primi mesi di guerra, quando si cominciò a temere che il nemico potesse avvicinarsi, fu consigliato ai sovrani di mandare in Canada le due principesse, per salvaguardarle. E la risposta di Elisabeth I fu: “Le ragazze non partiranno mai senza di me. Io non partirò mai senza il loro padre. E il Re non lascerà mai il suo Paese, qualsiasi cosa avvenga”.

La storia è un trattore che ara i campi della vita di ciascuno di noi, ma per Elisabetta e la sua casata è stata un rullo compressore. A partire dalle vicende scabrose dei Windsor di tutte le generazioni agli atteggiamenti ambigui durante gli anni ’30-’40, il trono, sempre al centro dell’attenzione in un Europa che, pur in presenza di altre monarchie ereditarie, aveva per quella inglese sempre un occhio diverso, come se ogni giorno, per decenni, i membri della famiglia reale dovessero continuamente sottoporsi ad un giudizio di moralità per un rinnovo continuo della propria legittimazione a regnare. Come se il tempo delle monarchie fosse ormai tramontato e la loro ancor più delle altre superstiti, dovesse essere sempre sotto test di legalità, sempre stressata nell’ottemperanza ad un costume etico e politically correct, sempre nel mirino di avversari pronti a cogliere ogni elemento che potesse costituire una violazione di quella legalità, di quel costume, di quel ruolo deontologico al quale non era concesso loro di derogare. Paradossalmente, sembra che quasi nessun membro della casa reale sia stato integerrimo in questo assecondamento, tranne Elisabetta II. Circondata da figure che, nel bene e nel male, si sono lasciate andare ad essere persone normali nel senso più articolato del termine, Elisabetta è l’unica che non l’ha fatto. E’ l’unica che ha rivestito quel ruolo assunto nel lontano 1952 quando ha ricevuto sul capo la corona inglese. E’ l’unica che ancora oggi, quando tutto è così profondamente mutato, la sta portando con la stessa forza morale ed abnegazione con cui l’ha rivestita: “Per questo lei è diventata nel tempo una stella fissa per molte persone in tutto il mondo”. Quasi a coprire con il proprio comportamento, le falle di parenti che non sono riusciti come lei a vestire l’abito regale giorno e notte; perchè sentivano l’attrazione per quella libertà che lo scettro necessariamente, incontestabilmente imbrigliava.

Così come per il matrimonio di Elisabetta, anche per la sua incoronazione, Caprarica tesse pagine indimenticabili, leggendo le quali si perde la cognizione del tempo odierno, con l’impressione di assistervi, là, in Westminster, quando le emittenti televisive si disputavano i diritti di trasmissione e fra i vari litiganti fu il colosso BBC ad emergere. La BBC che vantava già allora le proprie prerogative di divulgazione culturale: “I suoi servizi radiofonici (un’eccellenza ancora oggi) intendevano guidare gli ascoltatori dal buono al meglio, attraverso la curiosità, la piacevolezza e una crescita della consapevolezza. Non si potrebbe esprimere meglio la funzione didattica anche della TV negli anni Cinquanta”. Ma anche la BBC aveva fatto i conti senza l’oste: Elisabetta non la voleva. E la questione arrivò alla Camera dei Comuni.

Il vento del cambiamento, come lo definisce l’autore, da quel primo refolo, tirò in ben altre numerose occasioni e spesso ben più forte. Ricorda, ad esempio, lo scandalo che nel 1960 colpì la casa editrice Penguin Books che si azzardò a pubblicare L’amante di Lady Chatterly di D.H. Lawrence, nel quale era riportata la parola fuck: “Prontamente la Procura della Corona trascinò la Penguin in tribunale, guadagnandosi un posto imperituro nella galleria del ridicolo”. Non si dimentichi che ancora nel ’60 agli uomini divorziati era vietato condurre i telegiornali della BBC. Ma quando il procuratore Mervyin Grittith-Johns chiese con ironia ai giudici (nove uomini e tre donne) se fosse un romanzo che avrebbero voluto che leggessero le loro mogli o i loro domestici, “la risposta fu un sonorissimo sì, dimostrando a un tempo che le classi alte sottovalutavano l’evoluzione del pubblico in materia tanto di sesso quanto di letteratura”.

Significativo fu il viaggio del 1954 nei paesi del Commonwealth, che per la regina sarà sempre un’entità reale, percepita come fondamentale porzione del proprio regno, del territorio da lei governato, del territorio di cui, più che a capo, si sentiva responsabile. Le strette di mano ed i doni scambiati vanno oltre l’aspetto formale o il valore economico: “ognuno equivale a un trattato di pace e di amicizia, perché uno scambio di doni vuol dire assenza di guerra, di inimicizia”.

Per questo, è sarà per sempre regina, perchè ha fatto della regalità nel senso più gravoso del termine, quello degli oneri oltrechè degli onori, non un vestito con cui ricoprire un sè che rimaneva individuo autonomo, ben distinto dal ruolo pubblico, come era stato per chi l’aveva preceduta e soprattutto per chi era al suo fianco. Ma ne fa fatto la propria anima, ha fuso la propria individualità con la storicità di quel ruolo

Leggere il libro di Antonio Caprarica è il modo discreto, profondo e rispettoso per conoscere quella persona, per sentire che in quella corazza di ufficialità, c’è un’anima. Ed è un’anima bellisisma, proprio perchè ha saputo permeare quella corazza, perchè ha saputo miscelare umano e regale in un elemento nuovo, un’essenza particolare fatta di grandezza e semplicità, di pregi e difetti, di  La regalità di Elisabetta, il suo modo di essere stata e di essere regina è ineguagliabile: “Lei aveva una storia d’amore con il Paese” disse Lord Charteris.