Marilù Oliva, L’Eneide di Didone (Solferino)

Marilù Oliva, L’Eneide di Didone (Solferino)

Un altro omaggio al mondo femminile da parte della grande Marilù Oliva, paladina del coraggio delle donne. Dopo aver dato voce primaria alle donne dell’Odissea, in questa sua nuova sfida letteraria, la scrittrice bolognese raggiunge un altro vertice narrativo: congiunge l’epica di Virgilio, alla quale si attiene fedelissima, in una  efficace reinterpretazione attuale, con il romanzo introspettivo. Non solo: attacca il mito classico con l’arma dell’ucronìa, il genere letterario che s’interroga sui “se” della storia. Marilù Oliva con la sua Eneide si chiede proprio questo: “Cosa sarebbe successo se Didone non si fosse uccisa per Enea?”

Tre sono le voci narranti di questa storia, che si alternano in una frizzante cornice: due dee, Giunone e Venere, e una donna, Didone.

Le due dee, con la loro rivalità e gelosia, rappresentano paradossalmente le passioni umane che muovono sentimenti e azioni. Venere è l’esaltazione dell’apparenza, della bellezza, della sensualità, dell’amore, e in fondo, della femminilità: “Penso a tutte le donne che, come lei, camminano chine sulle proprie preoccupazioni o si dedicano agli altri, senza avere il tempo di rendersi conto di quanta bellezza effondano, con la loro semplice esistenza”. Giunone è la rabbia (“amica infida, perché ti blandisce fuori mentre di divora dall’interno”), la gelosia, la scelta dovuta, il ragionamento, la maturità dell’esperienza, del compromesso, dell’accettazione non per debolezza ma per convenienza: “Quante Didone nel corso dei secoli verranno gabbate dai loro amanti sfuggenti che spariranno come fantasmi, quasi volatizzati nell’etere?”. Entrambe sono accomunate dal compiacimento della loro natura divina (“Che dimensione effimera quella di chi non beneficia della confortante carezza dell’eternità”), consapevoli dell’abisso che separa mortali e immortali, su quella linea che è la morte che in fondo, diventa il metro di tutto.

Didone rappresenta il contrasto e l’ambiguità che convivono nell’uomo: è forte, coraggiosa, determinata ma è anche prudente, insicura, indecisa. La sua storia si è sviluppata da azioni di adesione a volontà altrui e reazioni di libertà. Ha accettato l’imposizione di Sicheo come consorte, trovando per fortuna in lui un uomo buono da amare e da cui essere amata. Ma dopo la sua morte, non accetta il ricatto del fratello Pigmalione e fugge in cerca di una nuova patria. E’ in fase di costruzione della sua nuova Cartagine quando i Troiani chiedono ospitalità. E lei sappiamo bene, la concederà: “Vi soccorrerò come posso e, se al contrario volete restare qui, vi accoglierò come fratelli. Esperta del dolore, ho capito che soccorrere gli infelici è più proficuo che schiacciarli”.

Da quel momento la sua vita è percossa da un turbamento continuo come se percepisse il destino che dalla Fenicia l’ha seguita in Africa. E da quel momento, l’anima e la penna di Marilù Oliva sono per lei: all’incontro con i Troiani chi la colpisce di più non è Enea ma Ilioneo, anch’egli personaggio dell’Eneide. Enea per contro è descritto in modo quasi insignificante, figura debole rispetto ad altre figure più forti che l’accompagnano, primo fra tutti il padre Anchise che lo consigliava e guidava. Ma, come Ulisse, anche Enea è un grande affabulatore. Quando racconta le vicende di Troia, incanta tutti. Come Ulisse, riesce a far rivivere nitide, accese, riverberanti, le immagini descritte suscitando emozioni profonde negli ascoltatori. Eppure fra loro non sboccia nessuna particolare attrazione. 

E’ in quel momento che, nella cornice tessuta dall’Oliva, intervengono le due dee. Punzecchiandosi a vicenda, l’una in difesa di Didone, regina come lei, l’altra in difesa di Enea, suo figlio, sembrano giocare con noi mortali inconsapevoli, determinando gli eventi dall’alto. Ma non secondo il loro capriccio, non del tutto almeno. Perchè, se sopra gli uomini ci sono gli dei, sopra gli dei c’è qualcosa di ancor più potente e ineluttabile, il destino, il Fato, incontrastabile, insondabile.

Il fato vuole che da Ascanio, il figlio di Enea, nasca una stirpe potente e dominatrice. Ascanio deve arrivare in Italia e, unendo il proprio popolo troiano emigrato al popolo latino autoctono, dare origine al popolo romano. Ma è appunto Ascanio che deve arrivare in Italia. Non Enea, sembra riflettere l’autrice. Che, ad un certo punto sceglie di cambiare qualcosa. C’è un bivio nel mito e lei prende la svolta ucronica, segue un “se” per dare una chance alla sua eroina: “Come è possibile che una donna forte, determinata e autonoma come Didone, regina di popoli, in fuga da un gratello assassino e avido, abbia deciso di uccidersi per un uomo che – si sapeva fin dall’inizio – era solo di passaggio?”.

Marilù non tralascia, per fedeltà al testo, i resoconti dei combattimenti, la pittoresca e semplice crudità di certe scene, il cui realismo era dettato da esigenze di fedeltà e documentazione, non di effetto cinematografico. Nell’Eneide originale si coglie – e l’autrice la riporta con un soffio di attualità – una pietà leggera che esalta la forze e le debolezze dei protagonisti nella loro innocente giovinezza più che in un asettico eroismo. Eurialo, Niso, Camilla, Turno, Amata, e tutti i personaggi minori, mantengono la stupefacente personalità di caratteri descritti in modo da restare impressi per sempre nel lettore. Tutti gli episodi ritornano, nel racconto delle dee o di Didone, intoccati, prima della svolta ucronica, quasi intonsi anche dopo, se non nei necessari adattamenti, interessanti, nuovi, comunque rispettosi della cultura latina e della poesia virgiliana.

Da Marilù Oliva Didone riceve una seconda possibilità: quella di un percorso di cambiamento verso un’intimità che, come regina, aveva dovuto sopire: “dopo aver capito che la più grande libertà è tenersi stretto il privilegio di poter scegliere”, finalmente può ascoltare solo il proprio io.

E se la fantasia dell’autrice ha qui dato un tocco personale alla figura di Virgilio, non la si può che ringraziare per aver ricordato che, pur nella finzione narrativa, pur nel fascino del mito, i protagonisti, quando sono uomini e donne, non sono solo impavidi eroi ed eroine. Hanno sentimenti delicati che a volte sfuggono loro, hanno paure, hanno insicurezze. E ci viene ancora più facile immedesimarci in loro, e le loro vicende, ancora di più, ci marcano per sempre.